Ad Amos

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Nel mondo della cinofilia esistono tre categorie di “bipedi”: quelli che scelgono il proprio amico a quattro zampe; quelli che sono scelti dal proprio amico a quattro zampe; quelli per i quali è stato scelto un amico a quattro a zampe da altri.

Io rientro in quest’ultimo gruppo.

Ormai tanti anni fa, il mio papà, cacciatore cinofilo per passione, decise di acquistare un cucciolo, perché fosse il suo cane da caccia, il suo compagno di mille avventure, il suo fedele scudiero. Dopo una lunga ricerca, finalmente trovò il cucciolo adatto a lui (e adatto alla nostra cagnetta). In quel periodo, io non avevo molto potere di scelta, a me quel cucciolo proprio non piaceva, non avrei mai scelto né lui, né la sua razza, ero una quindicenne che voleva il suo cane magari gigantesco, o molto piccolo, le vie di mezzo non mi piacevano.

Non vi racconterò dei giorni passati a convincermi che quello era il cane giusto per noi, dell’avventura per raggiungerlo a mille kilometri da casa, del suo allevatore, ma vi parlerò dell’infinito amore nato quel giorno.

Si chiamava Amos, era un bracco italiano bianco-arancio, esattamente come non piaceva a me. Aveva quattro mesi e non soffriva il mal d’auto.

Durante il viaggio di ritorno fui l’addetta alle coccole, sette ore di sole carezze e sguardi, da quel momento in poi lui sarebbe stato il mio più grande amico e io la sua compagna a due zampe.

Arrivati finalmente a casa, fu davvero tanto difficile farlo addormentare e quella notte decisi di coricarmi che già albeggiava, Amos non aveva nessuna voglia di dormire solo (mamma non avrebbe mai accettato che salisse sul mio letto, però gli aveva sistemato un posticino tutto suo con la sua coperta), quando proprio non riuscì più a tenere gli occhi aperti, lo salutai a malincuore e lo lasciai lì. Credo di essermi innamorata di lui nel momento in cui mi accorsi che per dormire si acciambellò nel punto esatto della coperta in cui ero seduta io.  E quello rimase il suo posto fino a quando di quella coperta non rimase più nemmeno uno straccetto.

Amos nel tempo crebbe, diventò un bravo cane da caccia e il cane giusto per il mio papà, un bravo lavoratore Amos e un cane dolce e, a suo modo, premuroso con la famiglia umana, un bel papà per i suoi cuccioli e un degno avversario per gli altri maschi. Ma non fu mai il cane di papà, Amos era innamorato di me!

Amos mi ha insegnato che nella vita c’è bisogno di qualcuno di cui fidarsi, di un posto sicuro dove rifugiarsi quando fuori c’è tempesta, che la vita è fatta di momenti felici in cui il tuo cane è lì che saltella e corre e ti salta addosso, e di momenti in cui tutto il mondo ti si rivolta contro e il tuo cane è ancora lì che poggia la tua testa sulla tua spalla e ti ricorda che qualsiasi cosa succeda lui ti ama sempre e comunque.

Negli ultimi anni Amos subì un calo, le sue condizioni di salute sono andavano lentamente peggiorando, però lui continuava a sentirsi sempre un cucciolo, quando era con me sembrava sempre che la sua giornata fosse piena di sole, riempiva di dolcezza la mia vita, i suoi occhi tutt’oggi mi emozionano. Mi capitava spesso di pensare a quando avrei dovuto scegliere io, quando le sue condizioni sarebbero peggiorate fino all’estremo. Non nascondo che, quando mi capitava, non riuscivo a non piangere, ma non l’avrei mai destinato a una morte lenta e sofferente.

Tuttavia Amos, seppur con i suoi acciacchi, stava bene, giocava, mangiava, camminava e passeggiava con noi.

Era il 31 Dicembre 2014, da noi aveva nevicato tantissimo, io, la mia sorellina, il mio papà, Amos e sua figlia eravamo felici di correre, cadere, rotolarci nelle neve. Inutile dire che non facemmo il nostro pupazzo di neve…era troppo più bello tuffarsi nelle neve…due o quatto zampe che fossero.

Amos decise di andarsene quando io non c’ero, quando ero abbastanza lontana da non poter “vedere”. Fu un regalo immenso, perché io Amos lo ricorderò sempre per il collo caldo a cui mi piaceva appoggiarmi.

Papà mi ha detto che dormiva, che certamente non se non è accorto, che non è stata colpa di nessuno e che certamente nessuno avrebbe potuto far nulla.  Spettò a lui tutto quello che c’è in questi casi. Io piansi, tanto.

Ad un anno dalla sua morte, la mia vita è molto diversa: ho un altro cucciolo, anzi ne ho tre, ho quattro cani adulti, indovinate un po’? Tutti bracchi italiani.

Forse sarebbe andata così con qualsiasi altro cane, forse anche senza cane, o forse è stato Amos ad indicarmi la mia strada, ad aiutarmi a trovare il mio posto nel mondo, ad indicarmi la direzione nella quale condurre la mia vita.

Non saranno queste righe a ricordare il mio amico a quattro zampe, non basteranno nemmeno a ringraziare papà e il signorT per il miglior affare mai fatto, ma se qualcuno mi chiedesse perché vivere con un cane io posso solo rispondere che un cane ti salva la vita.

Mariaceleste de Mauro

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